Il
        Bf 109 in volo:
        pregi e
        difetti
        
        
        
               
        La prima impressione che
        ricavava chiunque salisse a bordo del Bf 1O9 era data
        dall’abitacolo decisamente angusto che sembrava non essere stato
        previsto per piloti di statura superiore alla media. In compenso la
        strumentazione appariva completa, anzi sotto alcuni aspetti superiore a
        quella del contemporaneo FW190A. Quasi tutti i servizi ausiliari erano
        elettrici, tranne il carrello ed i comandi del radiatore, idraulici, e
        quelli dei flaps, con comando manuale, collegati ad uno dei due grossi
        volantini posti sulla sinistra del sedile. L’avviamento era del tipo
        inerziale ed avveniva agendo dall’esterno con l’ausilio di
        un’apposita manovella; quando il numero dei giri era sufficientemente
        elevato il pilota tirava una leva posta in basso sulla sinistra del
        cruscotto, innestando la frizione dello starter. Il motore doveva a
        questo punto essere riscaldato, mantenendolo intorno ai 1900 giri, la
        sua risposta al movimento della manetta
        
        era particolarmente pronta ed a
        questo punto poteva iniziare il rullaggio, che assumeva toni da «giallo»
        in quanto la visibilità anteriore era assai scarsa, dato l’assetto
        molto cabrato del velivolo a terra. Utilizzando i freni collegati alla
        pedaliera il pilota riusciva comunque a mantenere bene il controllo del
        mezzo e la corsa di decollo, con 15° di ipersostentatori era sufficientemente breve, sicuramente inferiore ad esempio
        a quella del coevo Spitfire IX. Durante la manovra di decollo il timone
        si dimostrava efficiente, compensando facilmente la forte spinta a
        sinistra originata dalla coppia dell’elica, ed il segreto per non far
        indurire i comandi degli alettoni, con pericolosa apertura delle alette
        automatiche Handley Page,consisteva nel non ostinarsi ad accelerare
        durante l’involo. Il carrello si ritraeva assai velocemente; al
        contrario, la variazione del passo dell’elica appariva piuttosto lenta.
 
  
        Dopo aver retratto i flaps agendo sull’apposita ruota e controllato
        tale manovra osservando la posizione di due apposite astine sporgenti
        dall’estradosso alare, iniziava la salita, che costituiva la specialità
        del Messerschmitt (dai 15 ai 17 metri/secondo in base alle diverse
        configurazioni dei carichi esterni). La stabilità in volo era ottima
        lateralmente e longitudinalmente, mentre
        invece il bilanciamento lasciava a desiderare, soprattutto se si
        considera che si trattava di un caccia: equilibratori assai pesanti,
        alettoni abbastanza leggeri e timone leggero. Un difetto particolarmente
        sentito in combattimento era la mancanza di una efficace compensazione
        del timone: il pilota era costretto a manovrare tirando la cloche a
        destra in cabrata ed a sinistra in picchiata, per cui in quest’ultima
        manovra lo sforzo sopportato sul timone ed equilibratori era decisamente
        forte, tanto che ad oltre 630 km/h i comandi davano l’impressione di
        essere bloccati, per cui ogni richiamata a bassa quota doveva essere
        fatta con molta cautela. Oltre i 7000 metri il velivolo si comportava in
        maniera eccezionale, ma nell’attacco ad aerei nemici, in 
        particolare bombardieri, il mezzo doveva essere fatto avvicinare
        senza porlo nella scia dell’avversario, il che avrebbe portato quasi
        certamente all’attivazione degli slats, con conseguente impossibilità
        di collimare il  bersaglio.
        L’avvicinamento all’atterraggio avveniva con una angolazione
        accentuata e lo stallo, preannunciato dallo
        sbattimento degli equilibratori, col motore al minimo avveniva intorno
        ai 170 km/h, con un dolce abbassamento del muso e dell’ala sinistra ed
        era in ogni caso anticipato dalle alule che si aprivano circa 30 km/h
        sopra questo valore. Durante l’atterraggio l’aereo tendeva a
        mantenere la propria portanza ed era
        quindi facile fare dei rimbalzi: era possibile frenare solo dopo che il
        velivolo era saldamente poggiato sui
        tre punti, badando a non deviare, poiché, anche se la frenata poteva
        essere robusta, senza timore di capottamenti, le deviazioni avrebbero
        potuto avere risultati tragici, grazie alla complicità della stretta carreggiata
        e dell’intrinseca debolezza del carrello (basti pensare che nel corso
        della guerra proprio a questa componente
        vennero imputati ben 1500 incidenti gravi!).