È dentro noi un fanciullino che
non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma
lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde
la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra
loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito
solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta
piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa
la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed
egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il
quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell'età giovanile forse così
come nella più matura, perché in quella occupati a litigare e perorare la causa
della nostra vita, meno badiamo a quell'angolo d'anima d'onde esso risuona. [
.. ] (I)
I segni
della sua presenza e gli atti della sua vita sono semplici e umili. Egli
è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere;
quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai;
quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle:
che popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei Egli è
quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e
alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a
dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli
è quello che nella gioia pazza pronunzia, senza pensarci, la parola grave che
ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole
d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa
umano l'amore, perché accarezza esso come sorella (oh! Il bisbiglio dei due
fanciulli tra un bramire di belve) , accarezza e consola la bambina che è nella
donna. Egli nell'interno dell'uomo serio sta ad ascoltare, ammirando, le fiabe
e le leggende, e in quello dell'uomo pacifico fa echeggiare stridule fanfare di
trombette e di pive, e in un cantuccio dell'anima di chi più non crede, vapora
d'incenso l'altarino che il bimbo ha ancora conservato da allora. Egli ci fa
perdere il tempo, quando noi andiamo per i fatti nostri, ché ora vuol vedere la
cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore
che odora, ora vuol toccare la selce che riluce. E ciarla
intanto, senza chetarsi mai; e, senza lui, non solo non vedremmo tante cose a
cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perché
egli è l'Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre
nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il nome della
cosa più grande alla più piccola, e al contrario. E a ciò lo spinge meglio
stupore che ignoranza, e curiosità meglio che loquacità: impicciolisce
per poter vedere, ingrandisce per poter ammirare. Ma in
tutti è, voglio credere. Siano gli operai, i contadini, i banchieri, i
professori in una chiesa a una funzione di festa; si trovino poveri e ricchi,
gli esasperati e gli annoiati, in un teatro a una bella musica: ecco tutti i
loro fanciullini alla finestra dell'anima, illuminati da un sorriso o aspersi
d'una lagrima che brillano negli occhi de' loro ospiti inconsapevoli; eccoli i
fanciullini che si riconoscono, dall'impannata al balcone dei loro tuguri e
palazzi, contemplando un ricordo e un sogno comune.(III)
Tu sei savio e mi contento. Non vuoi né ripetere il
già detto né trovare l'indicibile; non vuoi essere né un'inutilità né una
vanità. Vuoi il nuovo, ma sai che nelle cose è il nuovo, per chi sa vederlo, e
non t'indurrai a trovarlo, affatturando e sofisticando. Il nuovo non s'inventa:
si scopre. Mi contento dunque, a dirla tra noi, vale a dire, tra me...Ma
intendiamoci subito: di ciò non ti attribuisco gran lode, perché non ci vedo
gran merito. Come? Aspetta e sii paziente, ché mi conviene andar per le lunghe.
E prima vorrei farti una domanda. Un fine, l'hai tu? Fuori, s'intende, di
quello appunto di dire o dittare? E puoi dirmi, quale? [ … ] nessun utile né
diretto né indiretto mi viene da te, o fanciullo. Checché tu possa dire,
nessuno. Quale invero sarebbe? [ .. ] Se tu invero conoscessi Platone, ti direi
che, come egli ha ragione nel dire che i poeti facciano mythous e non
logos, favole e non ragionamenti, così non ho torto io nel pretendere che i
ragionatori facciano logous non mythous. [..] …Mi
viene in mente che oltre codeste verità, diremo così, usuali, di cui io ti sono
testimone, ci sia sotto il tuo dire una verità più riposta e meno comune, a cui
però la coscienza di tutti risponda con subito assenso. Quale?
Questa: che la poesia, in quanto è poesia, la poesia senza aggettivo, ha una
suprema utilità morale e sociale… Già, per me, altro è un sentimento poetico,
altro è fantasia; la quale può essere bensì mossa da quel sentimento, ma può
anche non essere. Poesia è trovare nelle cose, come ho a
dire? Il loro sorriso e
la loro lacrima: e ciò si fa da due
occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente di tra l’oscuro tumulo
della nostra anima.Or dunque intenso il
sentimento poetico è di chi trova la poesia in ciò che lo circonda, e in ciò
che altri soglia spiegare, non di chi non la trova lì e deve fare sforzi per
cercarla altrove [ … ] (VI)
Il poeta,se è e quando è veramente poeta, cioè tale
che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce
perciò ispiratore di buoni e civili costumi, d'amor patrio e familiare e umano… Ma il
poeta non deve farlo apposta.Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non
filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o
di corte. E nemmeno è, sia con pace del Maestro, un artiere che foggi spada e
scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e
ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire il poeta vale infinitamente più
il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette
l'uno e l'altra. Egli, anzi, quando li trasmette, pur essendo in cospetto d'un
pubblico, parla piuttosto tra sé, che a quello. Ora
il poeta sarà invece un autore di provvidenze
civili e sociali? Senza accorgersene, se mai. Si trova esso tra la folla;
e vede passar le bandiere e sonar le trombe. Getta la sua parola, la quale
tutti gli altri, appena esso l'ha pronunziata, sentono che è quella che
avrebbero pronunziata loro… Il poeta è colui che
esprime la parola che tutti avevano sulle labbra e che nessuno avrebbe detta. Ma non è
lui che sale su una sedia o su un tavolo, ad arringare. Egli non trascina, ma è
trascinato; non persuade, ma è persuaso. (XI)