Elena Muti, “la divina"
Allora sorse nello spirito
dell'aspettante un ricordo.' Proprio innanzi a quel caminetto Elena un tempo
amava indugiare, prima di rivestirsi, dopo un'ora d'intimità. Ella aveva
molt'arte nell'accumular gran pezzi di legno su gli alari. Prendeva le molle
pesanti con ambo le mani e rovesciava un po' indietro il capo ad evitar le
faville. Il suo corpo sul tappeto, nell'atto un po' faticoso, per i movimenti
de' muscoli e per l'ondeggiar delle ombre pareva sorridere da tutte le
giunture, da tutte le pieghe, da tutti i cavi, soffuso d’un pallor ambra che
richiamava al pensiero la Danae del Correggio. Ed ella aveva appunto le
estremità un po' correggesche, le mani e i piedi piccoli e pieghevoli, quasi
direi arborei come nelle statue di Dafne in sul principio primissimo della
metamorfosi favoleggiata.
Appena ella aveva compiuta
l'opera, le legna conflagravano e rendevano un súbito bagliore. Nella stanza
quel caldo lume rossastro e il gelato crepuscolo entrante pe' vetri lottavano
qualche tempo. L'odore del ginepro arso dava al capo uno stordimento leggero.
Elena pareva presa da una specie di follia infantile alla vista della vampa.
Aveva l'abitudine, un po' crudele, di sfogliar sul tappeto tutti i fiori
ch'eran ne' vasi, alla fine d'ogni convegno d'amore. Quando tornava nella
stanza, dopo essersi vestita, mettendosi i guanti o chiudendo un fermaglio
sorrideva in mezzo a quella devastazione; e nulla eguagliava la grazia dell'atto
che ogni volta ella faceva sollevando un poco la gonna ed avanzando prima un
piede e poi l'altro perché l'amante chino legasse i nastri della scarpa ancora
disciolti
[…]
Ella saliva d'innanzi a lui,
lentamente, mollemente, con una specie di misura. Il mantello foderato d'una
pelliccia nivea come la piuma de' cigni, non piú retto dal fermaglio, le si
abbandonava intorno al busto
lasciando scoperte le spalle. Le spalle emergevano pallide come l'avorio
polito, divise da un solco morbido, con le scapule che nel perdersi dentro i
merletti del busto avevano non so qual curva fuggevole, quale dolce
declinazione di ali; e su dalle spalle svolgevasi agile e tondo il collo; e
dalla nuca i capelli, come ravvolti in una spira, piegavano al sommo della
testa e vi formavano un nodo, sotto il morso delle forcine gemmate.
Quell'armoniosa ascensione della
dama sconosciuta dava agli occhi d'Andrea un diletto cosí vivo ch'egli si fermò
un istante, sul primo pianerottolo, ad ammirare. Lo strascico faceva su i
gradini un fruscío forte. Il servo camminava indietro, non su i passi della sua
signora lungo la guida di tappeto rosso, ma da un lato, lungo la parete, con
una irreprensibile compostezza. Il contrasto tra quella magnifica creatura e
quel rigido automa era assai bizzarro. Andrea sorrise.
[…]